Negli ultimi tempi, episodi di violenza tra i giovanissimi hanno sollevato un acceso dibattito, complice anche l’intervista del noto psichiatra e sociologo Paolo Crepet rilasciata a Il Corriere della Sera.
Aneddoti come quello del recente accoltellamento di un ragazzo da parte di una dodicenne sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che sembra affliggere le relazioni tra i più giovani.
Crepet, con sincere preoccupazioni, analizza una crisi profonda che coinvolge sia le famiglie che le istituzioni scolastiche, lasciando trapelare debolezze e incertezze. Scopriamo più nel dettaglio le sue dichiarazioni e le controversie che ne derivano.
Paolo Crepet non ha usato mezzi termini. La sua opinione è chiara: il problema non è recente e affonda le radici in cambiamenti sociali e culturali avvenuti nel corso degli anni, se non addirittura dei decenni. “I giovanissimi non sono affatto immuni dai rischi, ma la società sembra volersene disinteressare,” afferma. Nella sua analisi, la dimensione della responsabilità è centrale. “Perché concediamo ai nostri figli libertà che, per altri aspetti della vita, non daremo mai? Per esempio, a 13 anni non diamo la patente di guida, ma li lasciamo liberi di sperimentare alcol e droga,” ha commentato.
Anche se l’argomento è delicato e complesso, il messaggio è evidente: servirebbe un ritorno a regole più ferree e a un’educazione che scelga una direzione ben precisa. Crepet, infatti, sostiene che vanno introdotte delle restrizioni, ma non solo sui comportamenti dei ragazzi. “Tu ragazzi giovani, dovete crescere con delle linee guida,” sottolinea, suggerendo quindi che i limiti sono un’evidente necessità per un sviluppo sano.
Questa riflessione non è solo personale, ma un richiamo a una responsabilità collettiva. Sembra che stiamo assistendo a un’epoca in cui i ragazzi, privi di norme e regole, crescono con difficoltà nel loro percorso di socializzazione. Le parole di Crepet pongono un interrogativo cruciale: fino a che punto possiamo permettere che una generazione cresca senza il supporto e l’orientamento necessari?
Crepet, con un’analisi cruda e diretta, critica il ruolo dei genitori di oggi nella crescita dei loro figli. Secondo lui, la famiglia, in un’accezione tradizionale, è quasi scomparsa. La visione del mondo attuale non ha più quella coerenza e stabilità che era comune nel Dopoguerra. “I genitori recenti sembrano più confusi e spaesati,” afferma, sottolineando che l’idea che conessere tutto ai propri figli è parte del problema. “Limiti? No, non li mettiamo, fa brutto,” prosegue. Nel suo discorso, Crepet esprime anche una critica generazionale nei confronti dei genitori attuali, definiti come quelli “che hanno creato la comfort zone” per i figli.
Il messaggio è chiaro ma anche audace. Nonostante le comodità sia tecnologiche che sociali disponibili, sembra che i genitori non stiano fungendo da veri e propri punti di riferimento, piuttosto cedono a qualsiasi richiesta dei ragazzi, portandoli a una vita priva di disciplina e responsabilità. “Questi genitori, nati negli anni ’80, rifiutano il concetto di sacrificio e fatica,” afferma, ricondizionando i nostri giovani a un’educazione meno rigorosa.
Crepet fa notare che questo atteggiamento ha portato a una condizione educativa in crisi, in cui anche i voti scolastici diventano un tabù. La società, venuta meno ai propri doveri, si trova in una spirale discendente, lasciando i più giovani privi di strumenti e riferimenti necessari per affrontare la vita.
Spostando l’attenzione sull’istruzione, Crepet esprime preoccupazione per la figura del docente, sempre più emarginato e ridotto al silenzio. “Per molti insegnanti, il timore di un comportamento violento da parte degli studenti è palpabile,” racconta. La sensazione è che l’autorità sia stata erosa, e questi professionisti della formazione si sentono in balia di una situazione che non riescono a controllare. Un’impressione condivisa da chi lavora quotidianamente con i più giovani, che spesso raccontano episodi di bullismo e derisione tra i banchi.
I problemi, però, non riguardano solo i ragazzi. Gli stessi educatori, in alcuni casi, avvertono di essere oggetto di attacchi, verbali e fisici, da parte degli alunni. Questo clima di paura li costringe a rivedere il proprio modo di insegnare. Anche in età prescolare, la situazione non sembra migliore. “Già nei più piccoli si nota una mancanza di rispetto per i docenti,” aggiunge.
Inoltre, la proposta di limitare l’uso dei social e degli smartphone tra i preadolescenti è un tema che torna frequentemente, rilanciato anche da noti esponenti del governo come il ministro Valditara. Con un chiaro messaggio di allerta, Crepet biasima l’assenza di consenso verso questa misura. “A che punto siamo arrivati quando non riusciamo a proteggerli da potenziali danni, pur essendo adulti?” si chiede, portando l’attenzione su un’era in cui le tecnologie possono anche risultare essere un’arma a doppio filo.
Giuseppe Valditara, attuale ministro dell’Istruzione, ha recentemente commentato il caso della dodicenne che ha aggredito un compagno, dichiarando che è giunto il momento di mettere un freno alla violenza giovanile. “Vogliamo ripristinare l’autorità nella scuola e vietare l’uso dei social ai minori di 15 anni. Dobbiamo proteggere i nostri giovani,” ha affermato, sottolineando la necessità di risposte concrete e di un’azione decisiva.
Ma le domande rimangono. Quali misure saranno effettivamente adottate? Riusciranno i governi e le istituzioni a progettare strategie praticabili e a garantire l’implementazione di queste restrizioni? Queste domande si pongono in un contesto più ampio in cui i ragazzi dovrebbero sentirsi al sicuro e protetti, all’interno di un mondo che continua a evolversi a ritmi incessanti. Allo stesso modo, si guarda al futuro con una certa ansia, domandandosi se gli sforzi per rimediare a questo stato di cose saranno sufficienti e tempestivi per fare la differenza.
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